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Milano : Iperborea, 2013
Abstract: L'inalienabile aspirazione umana alla felicità, alla libertà, al riscatto, al diritto di esistere senz'altra giustificazione che la propria inviolabilità e insieme la disperata consapevolezza che rimarranno irraggiungibili: è questa la toccante confessione di uno scrittore malato del male di vivere e che ha sempre sentito di "attirare il dolore come un amante". Benché Il bisogno di consolazione non sia l'ultima opera di Dagerman, appare come un vero e proprio testamento spirituale, in cui si leggono fra le righe i motivi del suo silenzio finale e del suo suicidio. Schiavo del proprio nome e del proprio talento al punto di non avere "il coraggio di farne uso per il timore di averlo perso", ossessionato dal tempo e dalla morte, incapace di sottrarsi alle pressioni che si sente imporre dalla società e più ancora dalla propria intransigenza, resta tuttavia convinto che il valore di un uomo non può essere misurato dalle sue prestazioni e che nessuno può richiedergli tanto da intaccare la sua voglia di vivere. Vi sono sempre le parole da opporre a ogni tipo di sopraffazione, "perché chi costruisce prigioni s'esprime meno bene di chi costruisce la libertà". Ma se anche queste non bastano, rimane il silenzio, "perché non esiste ascia capace di intaccare un silenzio vivente".
11 giugno 2016 alle 12:11
Apprezzabile nella brillantezza e chiarezza delle opinioni esposte, meno condivisibili le conclusioni.
Come spesso succede agli anarchici, la ricerca della libertà diventa una ossessione, una schiavitù; proprio ciò che cercavano di fuggire. L'autore parla del suicidio come sola libertà rimasta all'uomo. L'ossessione lo ha portato nell'abisso, forse la sua fragilità non gli ha permesso di vedere la luce oltre le ombre da lui stesso create. Mi ricorda Ettore Majorana, che vide forse un ombra avvicinarsi dal futuro; ombra che non poteva essere combattuta.
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